La leggenda delle navi di Caligola, lago Nemi

 

Oggi il nostro viaggio nel passato ci porta alla Roma dei grandi imperatori, quelli che l’hanno resa grande e bella trasformandola nella città eterna.

Sin dall’antichità il lago di Nemi fu oggetto di una leggenda riguardante due navi favolose di dimensioni gigantesche, costruite in epoca romana, ricche di sfarzo e forse contenenti dei tesori, che sarebbero state sepolte sul fondo del lago per ragioni misteriose.

Tale leggenda prese a circolare probabilmente sin dal I secolo d.C., e poi per tutto il Medioevo, accreditata ogni tanto dal ritrovamento occasionale di strani reperti da parte dei pescatori del lago.

Come ben sappiamo spesso le leggende si basano su verità.

L’imperatore Caligola fece costruire 2 imponenti navi, lunghe 70 metri e larghe più di 25, in onore della dea egizia Iside e della dea locale Diana.

Ipotesi ricostruttiva della nave A

Queste navi dalla fattura raffinata e maestosa erano frutto di un’ingegneria avanzata ed erano splendidamente decorate, dei veri e propri palazzi galleggianti utilizzati da Caligola per abitare o sostare sul lago, o con cui divertirsi in simulazioni di battaglie navali.

Nel 41 d.C. Caligola mori e il senato romano (di cui l’imperatore era stato acerrimo avversario politico) decise di cancellare il suo ricordo distruggendo ogni opera dell’imperatore comprese le bellissime navi di Nemi che furono affondate sul fondo del lago.

Ma anche se si prova a cancellare una persona e il suo passato, questo prima o poi potrebbe riemergere soprattutto se ha creato qualcosa di importante; e infatti così è successo.

Il lago di Nemi ha custodito questo segreto per anni, rendendo la storia delle navi un ricordo tramandato trasformato in leggenda.

Quando si decise di perlustrare il lago in cerca di queste navi, la leggenda divenne realtà.

Il lago aveva custodito e nascosto questo segreto.

Vennero recuperate in una impresa archeologica condotta dal 1928 al 1932, e il loro recupero fornì uno dei contributi più importanti alla conoscenza della tecnica navale romana.

Per riportare in superficie le leggendarie navi, a partire dal Rinascimento, furono effettuati vari tentativi che ebbero conseguenze drammatiche sugli scafi. I reperti furono asportati e le strutture vennero devastate; diverse porzioni di legname furono divelte in quanto le eccessive dimensioni delle navi le rendeva troppo pesanti per essere ripescate. Di questi gravi errori ci si renderà conto solo alla fine dell’Ottocento.

Il primo tentativo di recupero conosciuto risale al 1446, quando il cardinale Prospero Colonna, signore di Nemi, incarica del recupero l’architetto Leon Battista Alberti. Grazie ad alcuni esperti nuotatori genovesi, si esplora la nave più vicina a riva, determinandone distanza e profondità; poi se ne tenta il recupero mediante una piattaforma galleggiante munita di corde e uncini.

Furono fatti altri tentativi nel corso degli anni portando alla luce molti oggetti e manufatti di inestimabile valore.

L’ultima operazione prima dell’intervento dello Stato è quella condotta da Eliseo Borghi nel 1895, intervento condotto su incarico della famiglia Orsini e autorizzato dal Ministero della pubblica istruzione. Grazie al lavoro di un palombaro viene riportata alla luce la bellissima ghiera in bronzo di un timone, lavorata a rilievo con una testa di leone.

Vengono riportati alla luce anche attrezzi e oggetti, pilastrini in bronzo, protome ferine, tegole in rame dorato, mosaici, lastre in porfido, laterizi ma anche rulli sferici e cilindrici, testimonianza delle conoscenze tecniche romane, che fanno ipotizzare la presenza sulle navi di piattaforme girevoli.

La maggior parte del materiale recuperato viene acquistato dal Museo Nazionale Romano mentre altri reperti prendono la strada del mercato antiquario.

A seguito dell’opera del Borghi, il Ministero della pubblica Istruzione impone la cessazione dei tentativi di recupero, che stavano progressivamente demolendo gli scafi e, con la collaborazione del ministero della marina inizia la fase delle ricerche condotte con rigore scientifico.

L’incarico viene assegnato all’ingegnere Vittorio Malfatti, tenente colonnello del Genio Navale: nel corso del 1895 e del 1896 Malfatti identifica con certezza posizione e stato delle due navi, esegue il rilievo generale del lago ed esplora la parte accessibile dell’emissario. Scarta quindi l’ipotesi di un sollevamento diretto degli scafi, privilegiando quella di un abbassamento del livello delle acque del lago. 

Nel 1926 viene istituita una nuova commissione incaricata dello studio del recupero: ne fanno parte periti, archeologi e ingegneri, sotto la guida dell’archeologo e senatore Corrado Ricci. La decisione prevede di svuotare parzialmente il lago fino a 22 metri di profondità per mezzo dell’emissario.

Navi di Nemi. 20 ottobre 1928

Al centro della foto, Benito Mussolini, appoggiato alla balaustra e con il cappello in capo, circondato da altre personalità, osserva l’impianto idrovoro fornito dalla società Costruzioni Meccaniche Riva di Milano, per lo svuotamento del lago di Nemi

Dopo numerosi studi per determinare i metodi migliori per riportare le navi fuori dal lago  il 20 Ottobre del  1928 Mussolini avvia lo svuotamento del lago.

Dopo varie meticolose procedure, finalmente il 28 marzo 1929 affiorarono le strutture più alte della prima nave, rivelando immediatamente l’importanza archeologica del ritrovamento. Emergono armi, monete, decorazioni, attrezzi, ami da pesca, chiavi e molto altro.

Le acque vennero abbassate di ben ventidue metri, la prima nave risulta completamente emersa e alla fine di gennaio 1930 affiora anche la seconda. Tuttavia l’entità delle spese sconsiglia il prosieguo dell’impresa. I lavori vengono quindi interrotti fino al 1930 quando il Consiglio dei ministri deliberò la ripresa dei lavori, grazie all’accordo con la Marina Militare e con i ministeri dei Lavori pubblici e dell’Educazione nazionale. Alla fine del 1932 anche il secondo relitto viene recuperato.

Veduta aerea dello scafo della seconda nave di Nemi, completamente emerso dalle acque.

In un primo tempo le navi vengono ricoverate sulla riva del lago, protette da teloni bagnati che limitano l’essiccazione del legno e da un hangar per dirigibili.

Successivamente venne costruito il museo delle navi romane, progettato dall’architetto Vittorio Ballio Morpurgo. Nel 1935 la prima nave viene trainata all’interno dell’edificio; il 20 gennaio 1936 viene posizionata anche la seconda.

Navi di Nemi. Primo piano dell’ancora in legno con ceppo in piombo.

Purtroppo una triste sorte toccò a queste meravigliose navi.

Nella notte fra il 31 maggio e il 1° giugno del 1944 un violento incendio (ad opera di soldati tedeschi) devasta il museo, distruggendo le navi: si salva solo quanto portato in precedenza a Roma; di queste navi rimane solo il ricordo, e alcuni modellini riprodotti in scala.

Dalle scritte studiate è stato possibile datare gli scafi all’epoca dell’imperatore Caligola (37 – 41 d. C.): la grandiosità delle imbarcazioni, la ricercatezza delle decorazioni e degli arredi, le stesse vicende personali dell’imperatore hanno fatto pensare che le navi fossero luoghi di piacere; invece oggi l’ipotesi più accreditata è che si trattasse di navi cerimoniali. 

 

Questa storia ci rivela che il passato anche se remoto ha sempre tanto da insegnare e miti e leggende possono sorprendere trasformandosi in  realtà.

Autrice: Dott.ssa Mariachiara Patriarca

Fonti e Fonti immagini

https://www.ilprimatonazionale.it/scienza-e-tecnologia/villa-caligola-nemi-31751/

https://it.wikipedia.org/wiki/Navi_di_Nemi

https://www.google.it/search?q=le+navi+di+caligola&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwjWg-TOhbbhAhUG_aQKHXG6Aq8Q_AUIDigB&biw=1366&bih=657#imgrc=j1ThgVd993rP0M:https://www.romanoimpero.com/2013/12/nemi-riaffiora-il-ninfeo-di-caligola.htmlhttps://www.google.it/search?q=villa+di+caligola+nemi&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwi4r_TFjbbhAhUSs4sKHQunAbEQ_AUIDygC&biw=1366&bih=657#imgrc=PLc4pWjMPslTFM:

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