Breve storia del progresso
La sfida della sopravvivenza è stata da sempre sprone, per l’essere umano, per l’ingegno e di conseguenza l’invenzione. L’artigianato e la tecnica sono frutto della creatività, quindi della capacità di risolvere i problemi in modo originale attraverso l’intelligenza che ci caratterizza come esseri umani.
La tecnica, però, non è mai andata avanti da sola lungo un percorso rettilineo e progressivo, piuttosto è stata, ed è, soggetta ai capricci e alle tortuosità proprie di ogni società e ai modi e ai mezzi di produzione che in un primo momento rispecchiano le risorse più elementari per sopravvivere, successivamente strumenti più avanzati per migliorare il proprio tenore di vita, accumulare ricchezze e iniziare processi produttivi più complessi.
Quando le persone entrano in contatto tra loro, istintivamente si organizzano e stabiliscono le regole della propria esistenza comune, cioè dei “modelli di cultura”.
Pertanto dal momento in cui una società nasce ha i suoi modi per produrre, i suoi mezzi e le sue tecniche, tutte risultato del modo stesso in cui essa è organizzata.
Spesso i modi di produzione e la tecnologia adottata riflettono la spaccatura tra le classi sociali all’interno di uno stesso gruppo, per questo il progresso segue un percorso a zig-zag con momenti di sviluppo ed evoluzione alternati a periodi di guerre, distruzione e involuzione.
Il progresso come innovazione che modifica il tessuto sociale
Le società agricole iniziarono a diffondersi 8000 anni prima di Cristo, dopo che alcune comunità abbandonarono le abitudini nomadi preferendo la stanzialità.
Questo primo grande cambiamento nello stile di vita comportò lo sviluppo di tante tecniche agricole, tutte chiaramente diverse a seconda della zona di appartenenza. Al di là di tali tecniche, però, una serie di conquiste tecnologiche furono comuni a tutta l’umanità. Tra le più importanti troviamo l’inizio della lavorazione di alcune fibre animali e vegetali e la nascita della manifattura tessile; la capacità di forgiare il ferro e l’organizzazione delle prime rudimentali attività metallurgiche; e la lavorazione dell’argilla con la creazione della terracotta e della ceramica.
Con l’intuizione dell’uso di forme energetiche diverse da quella muscolare umana nascono i primi allevamenti e lo sfruttamento di forze naturali come il vento e i corsi d’acqua (i primi mulini a vento e ad acqua si trovano in Asia e in Europa).
Le società contadine acquisirono maggiore capacità di sfruttare l’ambiente e al loro interno si venne a formare una divisione rigida del lavoro e una gerarchia inflessibile; nacque così la distinzione tra chi lavorava, producendo ricchezza, e chi viveva grazie al lavoro altrui.
In tali società le innovazioni, che pure non mancano, difficilmente riescono a rivoluzionare l’organizzazione del lavoro. Quello che trasforma l’innovazione tecnologica in progresso è proprio la capacità che essa ha di modificare il tessuto sociale e il quadro politico.
Una seconda innovazione di tale portata si ebbe quando l’organizzazione della società fu sconvolta dalla diffusione capillare di nuovi tipi di insediamenti umani: le città.
A partire dal Mille, infatti, la città vide sorgere la borghesia, classe sociale nuova che per molti secoli si farà promotrice del progresso sociale e tecnologico.
Con la città il panorama cambiò forma e ancor più con le strade, infrastrutture che permettevano lo spostamento di persone, merci e idee.
Sulla scia del desiderio di espansione degli esseri umani si avvia l’era moderna, inaugurata con le grandi esplorazioni del XVI secolo.
Il mondo divenne allora sempre più piccolo, i continenti si avvicinarono e le persone furono capaci di superare barriere naturali come gli oceani o le montagne.
Si costruirono strumenti e mezzi che consentivano di spostarsi in modo più sicuro e preciso. Un simile fermento di traffici, che trovò nell’Europa il cuore pulsante, si espanse velocemente su scala globale.
Si generarono contatti tra culture diverse che spesso degeneravano in conflitti, scontri nei quali le società tecnologicamente più avanzate si imposero, fagocitando quelle che si opponevano alla loro espansione.
Un’altra formidabile accelerazione nella storia del progresso arrivò nel XVIII secolo, con la rivoluzione industriale.
I grandi imperi coloniali sfruttando gli spazi extraeuropei posero le premesse per il grande cambiamento che si innescò principalmente in Inghilterra.
Per la prima volta nella nostra storia alcuni beni vennero prodotti in quantità molto superiori alla necessità immediata, grazie alle fabbriche, impianti costruiti da quelle persone (signori terrieri, fittavoli e mercanti) che avevano accumulato denaro durante i decenni precedenti grazie allo sviluppo dell’agricoltura e al fiorire dei traffici coloniali. La manodopera per le fabbriche era fornita da migliaia di persone costrette dall’indigenza ad accettare simili forme di sfruttamento. Le materie prime da lavorare venivano per lo più da quei paesi colonizzati e conquistati.
I macchinari prodotti innescarono così un processo a catena: aumentavano il potere umano di creare con le proprie mani ricchezza sotto forma di oggetti di consumo (dai tessuti di cotone agli strumenti agricoli, dagli utensili di ferro per uso domestico ai materiali edili), e la maggior ricchezza (per quanto mal distribuita) stimolava la produzione di altra ricchezza. Anche l’agricoltura produceva di più con minor spesa.
Cambiò la vita delle famiglie, cambiò il rapporto con l’ambiente naturale e cambiarono le città.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento un ulteriore balzo in avanti dette avvio alla Seconda rivoluzione industriale, che vide protagonisti la ricerca scientifica e l’industria chimica. Furono per lo più gli industriali a promuovere e finanziare l’attività di scienziati e ricercatori.
Se il motore della rivoluzione precedente fu il carbone, stavolta le fonti indispensabili furono il petrolio e l’elettricità.
La siderurgia permise di perfezionare impianti sempre più grandi ed efficienti, mentre l’industria chimica produceva medicinali, profumi, coloranti, esplosivi e fertilizzanti, innescando una nuova crescita demografica.
Fu in questa fase che la vita degli uomini e delle donne si scisse radicalmente dalla natura. Intere regioni del mondo si specializzarono nella produzione di particolari generi alimentari o nell’allevamento, rendendo sempre più marcata la distinzione tra stati industriali e stati agricoli.
Vaste zone del globo diventano dipendenti da altre regioni per la propria sopravvivenza (proprio l’Occidente industrializzato si trovò in questa condizione, dato che prese ad importare dall’Est e dalle Americhe quantità sempre maggiori di generi alimentari). L’economia mondiale divenne allora un tutto unico dove i paesi ricchi non potrebbero sopravvivere senza quelli poveri.
In questa seconda fase di sviluppo tecnologico, le macchine introdussero sul mercato una serie innumerevole di nuovi prodotti e nuovi congegni diventati oggi il nostro pane quotidiano e il nuovo modo di produzione permisero di diffondere quantità prima inconcepibili di teli prodotti. Nacque in quel periodo la società di massa (quella alla quale apparteniamo oggi), dove a potersi fornire dei nuovi beni industriali non sono più gruppi ristretti di persone, bensì intere popolazioni di consumatori.
Questo è stato possibile perché masse intere di popolazione, grazie alle conquiste operaie, possono disporre di un salario maggiore, da poter spendere anche nell’acquisto di beni di consumo. Il maggiore potere di acquisto stimola una maggiore produzione, che innesca a sua volta l’abbassamento dei prezzi di tali beni.
Nella società di massa il modo di vita tende a uniformarsi, le città aumentano di dimensioni e la loro popolazione aumenta vertiginosamente a scapito delle zone rurali, che si spopolano.
Per qualche decennio la borghesia incarna la fiducia e la speranza nel benessere.
La seconda rivoluzione industriale ha segnato il distacco clamoroso tra un mondo ricco e potente (le società di massa) e un mondo sempre più povero. Se infatti l’intera superficie terrestre è stata coinvolta dal nuovo sistema economico, non lo stesso si può dire per gli abitanti del pianeta. Intere regioni vengono a perdere buona parte delle loro ricchezze naturali, andate a nutrire le società industriali. Il grande progresso si è dimostrato una specie di colossale prevaricazione di un gruppo di stati ai danni del resto del mondo.
Dal secondo dopoguerra il cosiddetto Terzo Mondo, ovvero i paesi in via di sviluppo, ha iniziato a prendere coscienza delle proprie possibilità che lo porteranno a liberarsi dalla dipendenza nei confronti degli stati industriali e l’Europa occidentale perderà il ruolo di regione-guida nel mondo per trovarsi in una posizione secondaria.
Le due conflagrazioni mondiali esplose nell’arco di mezzo secolo dimostrano quanto accennato prima, ovvero che il progresso tecnico dell’umanità nella sua organizzazione sociale e produttiva non è una strada retta, ma segue percorsi contraddittori. Le capacità scientifiche e razionali degli uomini e delle donne non bastano a garantire uno sviluppo delle società, se esse non vengono usate in modo appropriato. Il trionfo della ragione, che sembrava definitivo a fine Ottocento, era in realtà la vittoria di certi ceti sociali e il trionfo di interessi ristretti. Per questo motivo, esso segnò l’inizio di un’epoca segnata dall’irrazionale massacro delle guerre.
Progresso e ambiente
Per decenni la percezione generale del progresso è stata esclusivamente positiva, e la civiltà dei consumi coincideva con la società del benessere. Quando si sono resi sempre più evidenti gli svantaggi e i problemi che lo stile di vita del consumo inevitabilmente produce l’ottimismo si è trasformato in catastrofismo. L’esaurimento progressivo delle risorse in un mondo sovrappopolato e altamente inquinato. L’innalzamento della temperatura e le conseguenti alterazioni climatiche, l’eccessiva produzione di materie plastiche e il problema dello smaltimento di quantità di rifiuti sempre maggiori, l’impoverimento drastico della biodiversità con devastanti conseguenze per i cicli vegetale e animale: questi sono solo alcune delle questioni più urgenti da risolvere.
In buona parte della Terra, grazie ai progressi medici e igienici, è aumentata la popolazione ma non il benessere. Gli stati industriali hanno messo in moto un meccanismo che ora non sono capaci di controllare: hanno provocato il risveglio demografico di interi continenti, ma al tempo stesso hanno spogliato delle loro ricchezze naturali quelle regioni.
Le conseguenze di uno sviluppo smodato sono arrivate a toccare anche coloro che detengono il potere e gestiscono industrie e capitali, facendo stonare la parola progresso in quanto è lo stesso mondo industrializzato ad essere minacciato dalle condizioni dello sviluppo.
I problemi che affliggono la nostra società oggi derivano in massima parte dal cattivo uso delle tecnologie e dall’esistenza di sistemi politici e sociali che, invece di utilizzare tutte le possibilità che l’ambiente offre, ne usa una minima parte. Il primo passo per inaugurare un’inversione di tendenza è adottare le energie rinnovabili abbandonando quelle non rinnovabili, preferite fino ad oggi, dando avvio a uno stile di vita a minore impatto ambientale.
È giunto il momento in cui la nostra sopravvivenza dipenderà dall’uso razionale di quel patrimonio di conoscenze e capacità che fino ad oggi è stato impiegato soltanto per semplici scopi di profitto. Bisogna indirizzare le nostre competenze scientifiche e tecnologiche per migliorare la vita di tutti, non per arricchire i pochi.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.