Capitolo 22. Ikyo e Alan
CAPITOLO 22°
Ikyo e Alan
Ikyo era nativa dell’isola di Orol.
Un’isola continentale circondata dal Mar di Berunia a est e sud-est, dal Mar di Isos a ovest e confinava a Nord con la regione di Ringuere. In passato l’isola di Orol era rigogliosa ed era il centro degli scambi commerciali del continente di Linde ma qualcosa impedì il suo ulteriore sviluppo.
Ikyo era appena nata che i suoi genitori si trovarono ad affrontare un lungo viaggio per poterla salvare, prendendo in custodia anche Alan, rimasto orfano dopo la devastante eruzione di un antico vulcano sommerso, nel mare di Berunia.
Trovarono riparo a Talalum-Brich. Anche se molto distante da Orol fu l’unico paesino che ospitò la povera gente rimasta senza casa e cibo. Il resto del continente vedeva in loro l’arrivo di sventure e questo perché vi erano storie di popoli lontani che narravano leggende sulla formazione del vulcano sommerso e sulle sue eruzioni, che si ripetevano ogni cinquecento anni da circa seicentomila secoli e oltre.
Una delle tante leggende, che venne tramandata e poi conosciuta da tutti gli abitanti di Linde, raccontava che Orol era abitata da degli Dei della terra, dell’acqua, della spada e del calice; i quali proteggevano valorosi cavalieri ai quali offrivano protezione e riparo dalla Nure-Onna e dai pericoli che dovevano affrontare nelle dure battaglie per la libertà dei popoli dai Bakemono.
Nei fondali che circondavano Orol vi era un vulcano che, secondo la leggenda, fungeva da fucina per gli spadai che forgiavano le spade dei protetti e che venivano modellate direttamente con la lava del vulcano. Secondo la leggenda, dunque, una meravigliosa donna attirava gli eroi grazie alla sua bellezza, fingendo di annegare.
I più deboli si fecevano ingannare e, tuffandosi in mare, per cercare di salvarla, annegavano, finendo nella bocca del vulcano facendolo eruttare e provocando la distruzione dell’isola degli Dei perché la donna spariva.
Si trattava, sempre secondo la leggenda, della Nure-Onna.
In realtà era una pura allucinazione, un’immagine illusoria causata dalla fitta nebbia che circondava Orol.
Da allora l’isola rimase disabitata e ogni cinquecento anni si ripeteva la stessa e medesima calamità che vedeva protagonista l’esplosione del vulcano. Fino a quando un’orda di conquistatori, ignari di tale leggenda, giunse sulle rive di Orol conquistandola e abitandola.
E fu su questa isola che il Signor Carter nacque, crebbe e divenne un importante “imprenditore”. Ma alla nascita della sua Ikyo si scatenarono le acque e il vulcano riprese a eruttare.
Così si vide costretto ad abbandonare la sua terra.
Approdarono a Talalum-Brich, dove si diede subito da fare e, dopo aver messo al riparo sua moglie con la piccola Ikyo e Alan, e dopo aver aiutato i pochi abitanti rimasti di Orol, decise di dedicarsi alla costruzione di una taverna.
Voleva un luogo dove poter riunire tutti e dove poter ospitare la gente bisognosa.
Divenne il suo vero e proprio lavoro.
Passarono gli anni, ormai, Talalum-Brick era divenuta la loro cittadella, erano conosciuti e rispettati da tutti; chiunque avesse affrontato un lungo cammino sapeva benissimo dove poter trovare calore e riparo.
Intanto gli anni passavano, Ikyo e Alan crebbero insieme come veri fratelli, però Alan, già da piccolino, si rese conto della bellezza che circondava Ikyo, non solo esteriore ma, soprattutto, interiore.
Una splendida bambina sempre sorridente che riusciva a farlo ridere anche quando era perso nel ricordo dei suoi genitori: insieme giocavano, parlavano e si confidavano segreti.
Erano due bambini meravigliosi, e Alan inoltre si rendeva utile al signor Carter svolgendo qualche piccolo lavoretto nella taverna; come se volesse ringraziarlo per l’affetto che riceveva. Crescendo accettò l’idea di lavorare solo ed esclusivamente per loro, per quella famiglia che sentiva come sua ma dentro sé nasceva l’amore per la dolce Ikyo; per lei avrebbe fatto di tutto, per lei rinunciò ad andare via da quella piccola città per cercare fama.
Il bene che li univa era immenso ma, Ikyo, in lui vedeva solo l’eterno fratello, il compagno di giochi; lei desiderava trascorrere la sua vita insieme a Shingen.
Tutto questo portò Alan a cambiare il suo carattere ma il bene che lo univa a Ikyo era immenso, talmente infinito da fargli dimenticare la realtà.
Ikyo crescendo acquistò fiducia in se stessa, divenne forte e coraggiosa e, certa dell’amore di Alan, si sentiva sicura e protetta. Sapeva che nonostante i suoi continui cambi di umore lui c’era sempre e sarebbe stato così per sempre.
Alan si presentava sempre con aria di superiorità ma solo per attirare l’attenzione della sua amata.
Era un ragazzo semplice, dedito a portare avanti la taverna del Signor Carter per amore di Ikyo.
Il suo aspetto fisico poteva ingannare e farlo sembrare già un uomo ma in realtà era solo un ragazzino di diciassette anni.
Alan era molto alto, corporatura robusta ma non pingue; aveva lineamenti dolci e un’espressione da buono ma era un ragazzo sveglio e dall’occhio vispo. I suoi capelli, scuri, ricciolini, portati leggermente lunghi, facevano risaltare il colore chiaro dei suoi grandi occhi celesti.
Ikyo era più sognatrice e avventurosa. Lavorava in quella taverna per non distruggere i sacrifici del padre ma sognava una vita differente, forse al fianco dell’avventuriero Shingen.
Quel ragazzo misterioso che non le rivolgeva la parola ma che con il suo sguardo aveva rapito il suo cuore sin da quando erano solo dei bambini; forse, anche, perché accumunati da uno stesso destino che li segnò a soli sette anni.
Ikyo era una ragazzina di sedici anni, molto bella, aveva lunghi e morbidi capelli lisci e neri, adornati sempre con legnetti o perline. Si presentava con un fisico asciutto ma formoso, occhi a mandorla non molto grandi ma intensi e profondi. Il suo sguardo era deciso e intrigante. Aveva un carattere forte per l’amarezza di ciò che la vita le aveva portato via ma nascondeva tanta dolcezza e nel suo profondo aveva paura della gente che la circondava. Lei si fidava solo del suo papà, di Alan e di Shingen.
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