I Sette contro Tebe – 1di3
I SETTE CONTRO TEBE
La turpe saga dei Labdacidi
Le leggende che ruotano attorno alla famiglia reale tebana sono sicuramente tra le più fosche di tutta la mitologia greca (pari solamente a quella degli Atridi, di cui si è già avuto modo di parlare[1]), tanto che il poeta medievale Dante Alighieri nell’inveire contro Pisa, colpevole della morte atroce per fame e per stenti del conte Ugolino e della sua famiglia, la definisce “novella Tebe”[2]. Il nostro racconto prosegue pertanto con le imprese di Cadmo, principe di Tiro, e con le sciagure che si abbatterono sui suoi discendenti[3].
1.
Il ratto di Europa
Tanto tempo fa, nella terra dei Cananei prosperava una città che i nostri antenati chiamarono Tiro, che dominava la regione della Fenicia; il loro re, Agenore[4], pur essendo stato allietato da ben tre figli maschi (Cadmo, Fenice e Cilice), stravedeva per l’unica figlia femmina che aveva e alla quale venne dato il nome di Europa.
La bellissima fanciulla, pur ancora in tenera età, era talmente bella da suscitare l’ardore e la passione di uomini e dei. Il caso volle (ma siamo proprio sicuri che si tratti di un caso, anche questa volta?) che ad invaghirsi della bella Europa fosse il dio del tuono e del fulmine, il sommo ma non proprio fedele ed integerrimo Zeus.
Il padre di tutti gli dei, per sedurre la donna amata, ricorse per l’ennesima volta allo strumento della metamorfosi, come già avvenuto in passato per Danae, la genitrice di Perseo[5], e come avverrà per Leda (futura madre di Elena e dei Dioscuri)[6]; prese le sembianze di un toro, Zeus si avvicinò alle spiagge di Tiro, dove Europa e le sue ancelle si erano recate per giocare.
La bella fanciulla fu l’unica a non fuggire impaurita di fronte a quello splendido animale dal manto bianco; ci volle poco, ai due, per prendere confidenza e ci volle ancor meno perché Europa saltasse in groppa a quell’aitante toro.
A questo punto, il superbo animale cominciò a galoppare a filo d’acqua e attraversò il Mar Mediterraneo sino a giungere nell’isola di Creta; qui Zeus riprese le sue vere sembianze e si unì in amore con Europa; dalla loro unione nacquero tre figli: Minosse, Sarpedonte e Radamanto.
[1] Racconti senza tempo, Vol. IV, pagg. 31-38, 98-104.
[2] DANTE ALIGHIERI, Inferno, canto XXXIII, v. 89.
[3] Le fonti principali cui l’Autore ha attinto sono: OVIDIO, Metamorfosi Torino, Utet, 2005; APOLLODORO, I miti greci; Milano, Mondadori, 2010.
[4] Agenore vantava origine divine; era infatti figlio del dio del mare Poseidone e di Libia, una fanciulla che discendeva direttamente da Zeus.
[5] Racconti senza tempo, Vol. IV, pp. 168-186.
[6] Racconti senza tempo, Vol. IV, pp. 27-28.
Succesivamente Asterio, signore di Creta, si innamorò di Europa e la sposò; non avendo eredi, egli adottò i figli di Zeus.
La prole di Europa ebbe un destino glorioso: Sarpedonte emigrò in Asia Minore e diventò re della Licia;
Radamanto fissò tutta la legislazione dell’isola e, alla sua morte, venne chiamato ad essere giudice dell’Ade;
Minosse, invece, ereditò il trono del padre adottivo, che poi trasmise al figlio Deucalione e al nipote Idomeneo, che partecipò alla guerra di Troia.
2.
La ricerca di Cadmo
Dopo la scomparsa di Europa, il padre Agenore si adirò con i suoi figli e li costrinse a mettersi alla ricerca dell’amata fanciulla, ordinandogli di non tornare più a casa se non dopo averla trovata. Partirono alla sua ricerca anche la madre Telefassa e il loro fedele amico Taso, figlio di Poseidone.
I figli di Agenore partirono con un piccolo seguito di compagni e cercarono la sorella perduta ovunque, senza tuttavia riuscire ad avere la minima notizia di lei, dopo la sua scomparsa;
poiché era stato loro proibito di tornare a casa senza Europa, essi continuarono a peregrinare ancora per molto tempo, sino a quando non furono sopraffatti dalla rassegnazione.
Per primo, Fenice decise di stabilirsi nella terra che da lui prese poi il nome di Fenicia; Cilice si fermò invece in Asia Minore e decise di abitare nella regione che egli chiamò Cilicia. Cadmo e e Telefassa, invece, giunsero in Tracia insieme a Taso, il quale colonizzò poi un’isola vicina fondando una città.
Quando Telefassa morì, Cadmo la seppellì e decise di proseguire il suo viaggio verso il luogo più sacro di tutta l’antichità: l’oracolo di Delfi, dove il dio Apollo parlava per bocca della sua sacerdotessa, la Pizia. I vaticini del nume furono chiari (circostanza, questa, per la verità piuttosto insolita):
egli disse a Cadmo di non cercare più sua sorella Europa, ma di seguire invece il cammino di una vacca e di fondare una città là dove l’animale si sarebbe fermato, stendendosi a terra.
Cadmo si mise in viaggio e incontrò una mucca nei pascoli di Pelagone: fedele alla profezia di Apolo, egli si mise a seguirla sino a quando l’animale non si stese a terra, in un luogo imprecisato nella regione della Beozia.
Cadmo pensò allora di sacrificare l’animale agli dei e mandò alcuni dei suoi compagni ad attingere acqua ad una fonte, per iniziare il rito.
A guardia della sorgente, tuttavia, montava la guardia un terribile drago, che uccise senza pietà tutti i compagni di Cadmo.
Egli allora, infuriato, si infiltrò nel boschetto presso il quale sorgeva la fonte ed affrontò il mostro: il figlio di Agenore conficcò la sua lancia nel fianco del drago così profondamente da far sgorgare un fiotto di denso sangue scuro.
L’orrida bestia cercò di scagliarsi addosso a Cadmo, ma questi non indietreggiò, colpendo con tutta la sua forza le fauci terrificanti, fino a che non riuscì ad affondare la spada nella gola del drago, inchiodandolo al tronco di una quercia.
Cadmo rivolse allora una preghiera accorata agli dei, chiedendo che cosa dovesse fare ora che aveva perduto tutti i suoi compagni: come avrebbe potuto fondare una città da solo? Intervenne a questo punto in suo aiuto Atena, che gli consigliò di seminare i denti del mostro ucciso.
Il figlio di Agenore si prestò ad eseguire quello strano rituale; con grande stupore, egli notò che dai denti piantati stavano balzando fuori dalla terra, come arbusti, degli uomini armati: di lì a poco, essi cominciarono a guardarsi tra di loro con aria ostile e vennero a battaglia.
Dopo un’aspra lotta, solamente cinque dei guerrieri erano sopravvissuti e avrebbero continuato a combattere sino alla morte se Cadmo non si fosse frapposto tra di loro per mettere pace: assieme ai cinque uomini d’arme, cui venne dato il nome di Sparti, il figlio di Agenore fondò una città.
Cadmo divenne il primo sovrano della nuova comunità della Beozia[1], mentre gli Sparti (Echione, Udeo, Ctonio, Iperenore e Peloro) furono i progenitori della nobiltà tebana.
[1] Riferiscono alcuni autori, tuttavia, che prima di ottenere la corona, Cadmo dovette servire il dio Ares per otto anni, per espiare l’uccisione del drago (figlio del nume).
di Daniele Bello
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