Patrick Bridone
AGRIGENTO
Abbiamo pranzato dal vescovo e siamo veramente persuasi che gli antichi abitanti di Agrigento non conoscevano il lusso della tavola più di quelli di oggi, ai quali hanno trasmesso gran parte delle loro virtù e dei loro vizi. Chiedo scusa se chiamo vizi questi difetti; vorrei adoperare un termine meno duro per non essere accusato di ingratitudine dopo l’ospitalità usata nei nostri riguardi.
Eravamo tutti a tavola e ci sono stati serviti più di cento piatti: tutti preparati nel modo più ricco e squisito, così che abbiamo dovuto riconoscere la verità e l’attualità dell’antico detto romano “siculus coquus et sicula mensa”. Nulla mancava di tutto quanto potesse eccitare o carezzare il palato per poi provocare un appetito artificiale e soddisfarlo.
Facevano parte del festino taluni dei piatti tanto raccomandati dagli epicurei dell’antica Roma, e in particolare la murena, di cui parlano così spesso gli autori classici.. si tratta di una specie di anguilla che si trova solo in questa parte del Mediterraneo e che si spedisce in tutte le corti d’Europa.
Non essendo grassa ed insipida come gli altri pesci di tal nome, se ne possono mangiare anche di grosse porzioni: la sua carne, bianca come la neve, è squisitissima.
Il lusso e la raffinatezza di questa gente sono veramente singolari. Trattano in una maniera particolare il loro pollame così da ingrossarne notevolmente il fegato, che assume un eccellente sapore.
È un piatto incomparabile, ma per procurarselo si adoperano mezzi così crudeli che non voglio insegnarveli; ne parlereste in buona fede ai vostri amici; questi li rivelerebbero ad altri, finché qualcuno si deciderebbe a metterli in atto, e tutta la razza pollina avrebbe ragione di maledirmi.
Contentatevi dunque di sapere che essi provocano la morte lenta e dolorosissima della povera bestia. So che basterà questo a impedirvi di assaggiare per sempre questa primizia..
La compagnia era assai allegra; gli agrigentini non smentiscono il loro antico carattere, perché prima di lasciare la tavola la maggior parte erano già ubriachi e, vedendoli barcollare, cominciai a temere che si rinnovasse la scena delle triremi.
Ci pregarono di preparare per loro il punch, liquore di cui avevano spesso sentito parlare, ma che non avevano mai visto. Ci portarono immediatamente gl’ingredienti necessari e noi ci destreggiammo così bene che lo preferirono a tutti i numerosi vini fino allora serviti.
Ne bevvero tanto che mi aspettavo di vederli cadere per terra. Essi lo chiamavano pontio; balbettavano con un tono di voce altissimo elogi in suo onore e dicevano, alludendo a Ponzio Pilato, che Pontio era un uomo molto migliore di quanto non avessero mai creduto.
Uno di loro, un rispettabile canonico, stette molto male, e mentre continuava a vomitare volse verso di me due occhi languidi e, scuotendo la testa, mi disse con un sospiro: “Ah! Signor capitano, lo sapevo che Pontio era un gran traditore”. Un altro che l’ascoltava esclamò: “un momento, signor canonico, non dite nulla contro Ponzio Pilato; ricordatevi che senza di lui, voi non sareste canonico e sua eccellenza non sarebbe vescovo: non sparlate in questo modo dei vostri amici”.
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