IL FIUME E IL DESERTO – Parte seconda: La mummia parlante
Dicembre. Anno del Signore 1529
Le porte si aprirono e Iside entrò nella sala, scortata da due guardie e un corteo di dignitari. Dietro loro, quattro uomini fecero la loro entrata con una portantina dorata. Seduta su di essa c’era la figura di una persona fasciata dalla testa ai piedi.
Nonostante a debita distanza, Gabriele notò subito la forma dei seni nascosti sotto la bianca fasciatura.
«Una donna» sussurrò l’uomo a Freja, in piedi accanto a lui.
«Non ti poteva sfuggire questo particolare, vero, cacciafemmine?» commentò sarcastica la complice. «In ogni modo non è roba per te. Morta da chissà quanti secoli, e anche fosse viva, doveva essere una regina. A quei tempi un plebeo come te non l’avrebbe neppure degnato di uno sguardo. Gli antichi egizi mummificavano soltanto gente di sangue regale.»
«Ah già, tu sai tutto su questo popolo. Il paparino deve averti istruito a dovere.»
«Ringrazia che la buonanima di mio padre mi abbia insegnato tante cose su questo paese. In caso contrario non saremmo qui. Sapeva di questa enclave e del culto di Iside che si tramanda da madre in figlia.»
«E vediamo se la storia che questa qua fa parlare i morti non è un trucco da baraccone.»
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra, uomo di poca fede.»
«Questi qua di scienza non ci capiscono un accidente.»
«Appunto, quindi, qualsiasi cosa accada, non si tratta di cinemagia o trucchetti del genere…»
«Ammetti che se non ci fosse cascata, la reginetta sarebbe ancora a parlare con le mummie in un palazzo in rovina come sua madre. E adesso si prepara a sfidare due grandi potenze.»
«Prima o poi accetterai la magia, e senza il cine.»
«Be’, se la signora in fasce si alza e si muove potrei anche convincermi.»
«Probabilmente, Iside entrerà in sintonia con la defunta, e parlerà come una qualsiasi sibilla, dandoci utili profezie.»
Il suono di un gong rintronò e tutti fecero silenzio. Iside parlò.
«Presento ai miei alleati sua maestà Nefertiti. Tra un po’ l’antica regina ci darà informazioni sulle mosse dei nostri nemici.»
Iside si voltò verso il tronetto che i portatori avevano posato sul pavimento. Disse qualcosa in una lingua che sicuramente era egizio antico.
La mummia si mosse, leggermente, nonostante gli arti fasciati.
La voce proveniente dalla sua bocca coperta parlò, cavernosa. In italiano.
***
Luna d’argento sentiva una forza potente. Un fluido, occhi il cui sguardo imprigionava, dirigendo la volontà altrui. Lo disse ad alta voce nel suo stentato italiano.
«La sento anch’io» confermò Artemide continuando a camminare sulla sabbia del deserto. «Più ci avviciniamo e più è chiaro che i poteri di Fatima sono più forti di quanto gli agenti ci abbiano informato. Eppure è cascata in quel trucchetto.»
«Più si guarda lontano e meno vedi sotto i tuoi piedi.» commentò Atena. «E poi non c’è miglior cieco di quello che non vuol vedere. Magari ha in quelche modo subodorato puzza di scienza, ma le fa comodo voltare lo sguardo dall’altra parte. Da maghetta di una tribù ad aspirante regina d’Egitto in un mese grazie a quei due. O magari si è innamorata del bel Gabriele.»
«Gabriele?» chiese Luna, continuando a camminare sotto il sole tiepido dell’inverno africano. Atena delucidò, paziente.
«Luna, anche tu hai la testa tra le nuvole e ti sfuggono dettagli. Il nostro bel tenebroso ha tanti nomi e si trova in Egitto sotto l’identità di uno scienziato chiamato Gabriele Agnelli.»
«Sempre nomi angelici e cognomi ovini» commentò Fioravante.
«Ovini?» chiese Luna
«In Italia era Arcangelo da Caprera, l’isola dell capre. Bee!» rispose canzonando Atena.
«Ferme» interruppe la voce di Fioravante. «Siamo arrivati.»
Avanzarono verso l’oasi, fingendo la stanchezza di chi ha camminato per giorni nel deserto. Avevano lasciato il Proteus a poche miglia.
Mehmet, l’agente turco che si spacciava per interprete parlò allo sceicco, in arabo.
«Salam aleikum. Il mio ospite, appena giunto qui dalla leggendaria Samarcanda, non conosce la tua lingua e chiede umilmente ospitalità e acqua per lui e le sue sette mogli.»
Fioravante estrasse da sotto il baraccano due sacchi. L’uno contenente monete d’oro ottomane e l’altro sale. Lo sceicco fece segno ai suoi servitori, e poco dopo il banchetto era pronto nella grande tenda.
Luna, Artemide, Atena, Fulvia, Anna, Gudrun e Fiona, coi volti coperti alla foggia musulmana erano sedute in un angolo, in silenzio. Fioravante e Mehmet sedevano di fronte allo sceicco.
Dopo un breve discorso formale sul tempo e l’ultima tempesta di sabbia, lo sceicco proferì, con aria preoccupata.
«Consiglia il tuo signore di tenersi lontano da questi paraggi. Dei demoni stanno ricostruendo un antico palazzo. Un posto maledetto dove la maga Fatima soleva compiere riti pagani come sua madre. Nessuno osa avvicinarsi ma le voci dicono che quando la sacerdotessa infedele salirà al trono d’Egitto esso sarà la sua residenza.»
«E questa Fatima, dove si trova?» chiese Mehmet fingendosi sorpreso.
«Scomparsa, lei e la sua tribù. Voci corrono che si sia trasferita in una piramide antica, in pieno deserto. Insieme ai faraoni morti. Anche quando viveva sulle sponde del Nilo, si diceva che oborrisse la luce e che preferisse la notte, il buio. E ora che i fantasmi dei faraoni si sono destati e i messi della divinità chiamata Ra hanno annunciato l’arrivo di guerrieri dal paese dove nasce il sole, ella si è rinchiusa sotto terra, molto vicina all’Inferno che si merita, mentre i demoni vanno avanti a costruire al palazzo maledetto.»
Mehmet riferì tutto a Fioravante.
Più tardi, nella tenda degli ospiti, il vecchio druido delucidò le sette donne.
«Uno scientifico lupo travestito da agnello, due sensitive. Magia e scienza abbinate assieme. Una brutta combinazione. Il tutto condito con uno zibaldone pseudoreligioso. Ci sono più dei in Egitto che abitanti in Cina.»
«A proposito di Cina, e dintorni…»
«Dalle parole dello sceicco si deduce che l’arrivo di guerrieri dal paese dove nasce il sole è imminente. Evidentemente hanno aeronavi capaci di trasferire soldati da Giapangu all’Egitto.»
***
I tre prigionieri erano arabi, ma parlavano italiano.
Freja, con aria trionfante commentò: «Uomo di poca fede, se la mummia non avesse denunciato queste spie, entro pochi giorni i giannizzeri del sultano si sarebbero fatti una capatina nei dintorni, a curiosare.»
«Va bene, va bene, Freja. Accetto la magia, ma basta farmi la predica. L’ipnosi è un fenomeno scientifico, non dimenticarlo; Iside ci ha sicuramente ipnotizzato facendoci credere che sia stata la mummia a parlare. Buon per noi che ha azzeccato.»
La nominata entrò scortata da quattro guardie. Uno dei tre agenti incatenati al muro della cella dichiarò: «La Serenissima Repubblica ci ha scelti per la nostra abnegazione e resistenza. Torturateci pure, non parleremo. Non ci avreste mai scoperti e non fosse stato per…»
Tacque. Iside lo fissò negli occhi. L’agente cambiò espressione, come stregato. La donna fece lo stesso con gli altri due. All’inizio girarono lo sguardo, come per evitare di essere intrappollati dal fluido ipnotico della regina. Ma Iside cominciò a recitare una litania, in una lingua sconosciuta.
Insistè per un po’ come se avesse pronunciato una formula magica, a ritmo, quasi cantando. Alla fine anche gli altri due erano ridotti a burattini senza volontà.
«E adesso stai sicuro che spiattelleranno i piani italo-turchi» sentenziò Freja. Iside la contraddisse.
«Niente di tutto questo. Gli agenti passeranno dalla nostra parte e lavoreranno per noi.»
CONTINUA…
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
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