IL FIUME E IL DESERTO – Parte quarta: le leggende del deserto
Febbraio. Anno del Signore 1530
«Il Grande Campo, la Valle. Una necropoli sotterranea di antichi faraoni. Una favola cui credevano gli antichi greci e romani e oggi solo i cristiani copti. Un mito come quello del loro Gesù che camminava sull’acqua e che volava in cielo. Una leggenda come tante.»
Le parole del santone non avevano un tono di disprezzo, soltanto compassione per poveretti che credevano alle chimere.
Mehmet si accomiatò con l’uomo e riferì tutto a Fioravante e le sette finte mogli. Salirono ciascuno sul proprio cammello e abbandonarono il villaggio.
Una volta lontani da orecchie indiscrete, strada facendo, Fioravante commentò ciò che avevano appena udito.
«Se troviamo la giusta ubicazione di questo mitico luogo, le aeronavi non perderanno più tempo a scandagliate miglia e miglia di nulla, ma si concentreranno su un posto ben definito.»
«Domani ci metteremo in moto per raggiungere un villaggio copto. Una bella chiaccherata col prete locale forse ci darà qualche informazione ben definita che confermi che non si tratti di una favola.»
«Il problema è che i cristiani tengono un profilo basso per paura delle persecuzioni turche. Anche se, per rispetto alla nostra alleanza, Solimano si mostra più tollerante» ribattè Mehmet.
«Allora, domani mattina faremo un cerchio magico e vedremo di localizzare la più vicina comunità copta» propose Fioravante
La sera scese e loro si accamparono. Il Nilo scorreva poco lontano. Si addormentarono, stanchi.
La mattina dopo, iniziarono la sessione. Fioravante era concentrato al massimo. Non fu difficile visualizzare una chiesa con una croce sopra in un villaggio non troppo distante. Stava per ordinare il termine della sessione, quando, d’un tratto, la visione di un’aeronave gli balenò nella testa. Sul pennone sventolava la bandiera col Leone di San Marco. In sottofondo si stagliavano i contorni di una città. Carpì concetti e forme pensiero. Un nome: Baghdad.
Quella era un’aeronave italiana della poco lontana base della Serenissima nei pressi della città, al servizio dell’alleato turco. Eppure sentiva che qualcosa non era come doveva essere. La nave volante puntò verso una fortezza dove garriva il vessillo con la Mezzaluna ottomana. Notò che i soldati turchi facevano segnalazioni all’equipaggio italiano. La risposta non fu amichevole. I cannoni dell’aeronave fecero fuoco abbattendo un torrione.
Alla fuga turca seguì l’atterraggio della nave nel cortile della fortezza e lo sbarco di uomini in uniforme di fanti della Serenissima. Ma lui intuiva che quelli di italiano avevano solo il travestimento. Temette per un attimo che gli attaccanti fossero giapanghesi, ma le visioni mostrarono al druido tratti somatici occidentali. Per essere precisi, nordici. Forse tedeschi, inglesi, o scandinavi.
Alleati dell’Impero,o anche del Regno di Danimarca o Inghilterra, potevano viaggiare a bordo delle navi italiane, come del resto i turchi. Chi erano questi ribelli? Qualcosa gli suggerì che i piani di Gabriele e Freja non si limitavano all’Egitto. Non appena terminò la sessione, facce esterrefatte lo guardavano.
***
L’ambasciatore ottomano presentò l’ultimatum al Doge.
«Vostra Eccellenza capisce che la nostra alleanza è sospesa e che tutte le forze armate italiane, di terra di mare e dell’aria devono abbandonare il suolo dell’Impero.»
La risposta del Doge fu immediata.
«Riferite a Solimano che in nome del rispetto che porto per la sua persona sarà mio compito attenermi alle istruzioni e adattarmi alle circostanze, ma sia ben chiaro che l’attacco e il tentativo di attentare alla sua vita non è stato ordito dalla Repubblica.»
«A dicembre vi vantaste di sapere che i vostri servizi segreti sapevano dove si nascondeva il Sultano. E per fortuna che l’assalto è stato respinto, anche se il velivolo è riuscito a fuggire. Ma i cadaveri degli assalitori vestivano le uniformi della Repubblica.»
«E se avessero potuto parlare avrebbero risposto in tedesco, danese o inglese. E adesso i i nostri veri avversari ci hanno diviso…»
***
«… sguarnendo l’Egitto dal supporto italiano» ruggì Atena, rivolta a Mehmet, che rispose.
«Quelle volpi stanno applicando il principio romano divide et impera.»
«Mi fa piacere che tu non creda a un voltafaccia italiano, come il Sultano» commentò Atena.
«Ufficialmente non abbiamo ricevuto alcun ordine di abbandonare la missione» declamò Mehmet, con aria furba. «Che le aeronavi abbiano lasciato a piedi i giannizzeri e se ne siano tornati nel Bel Paese lo sappiamo soltanto grazie alle visioni di Fioravante e le sensitive.»
«Ti rendi conto che potresti essere condannato per insubordinazione, Mehmet?» dichiarò Atena.
«Solo se un messaggero mi desse un ordine. Ma, come detto, siamo sperduti nel deserto e introvabili. Non sapendo ufficialmente niente di quanto accaduto abbiamo proseguito la missione. Nessuno immagina che usiamo questo abracadabra sim sala bim. Siamo agenti segreti sotto il paravento di un vecchio, le sue sette mogli e un l’interprete.»
«E la tua lealtà all’Impero Ottomano?» chiese Fulvia, con lo stesso tono di sua madre.
«La mia lealtà è chiara: continuare la missione e fermare questa follia, per il Sultano e per Allah.»
***
Freja, Iside e la mummia sedevano ciascuna su uno scranno, ai vertici di un invisibile triangolo. Agli occhi di Gabriele sembravano tutte e tre più appartenenti al mondo dei morti che dei vivi. Secondo Freja, la partecipazione al Triangolo Magico avrebbe acuito le visioni e le profezie dell’antica regina riportata momentaneamente in vita dalla forza ipnotica di Iside.
L’uomo aveva accettato tutti quei riti, ma disinteressato a capirne la meccanica. Bastava che funzionasse e che potessero confermare che lui era l’ultimo italiano rimasto in Egitto e che le sue macchine, le sole presenti in quei paraggi. Che cosa ne capiva quella maga di ingegneria, di come fossero messi assieme gli automini, delle finezze e degli ingranaggi, o di come le eolopile facessero girare le ruote dentate alimentate dal vapore e permettessero di far volare navi enormi?
Alla sovrana bastava che funzionassero, come lui voleva solo informazioni. A ciascuno la propria competenza. Non sentì le parole che pronunciava la mummia e attese il termine di quel rito. Freja riferì, con tono deluso.
«Il druido e cinque sensitive sono ancora in Egitto, oltre a due agenti italiane e uno turco. Costoro sanno della nostra azione a Baghdad. Il peggio è che credono alla leggenda della Valle.»
«Ma senza le aeronavi sarà come trovare il classico ago in un pagliaio» rispose Gabriele.
«Di sicuro. Dovranno cercarci in groppa ai cammelli. E li terremo d’occhio. Anche con quello della mente» aggiunse Freja, che sembrava aver ripreso l’ottimismo.
«E se si avvicinassero troppo, potremmo usare i tre agenti passati dalla nostra parte per ingannarli» propose Iside.
«Solo in caso di estrema necessità. Al momento quelli fanno comodo per tutte le informazioni che ci passano» controbattè Freja. Iside aveva molto da imparare. All’indomani dell’azione aveva affermato con rabbia che avrebbero potuto uccidere Solimano dopo aver saputo del suo nascondiglio e che non capiva la messinscena del fallito attacco.
Freja aveva risposto che quando la guerra tra Italia e Turchia sarebbe scoppiata ci voleva un sultano all’altezza della situazione, quale Solimano era. L’attacco era bastato a far credere a una sortita degli italiani, che conoscevano il rifugio segreto del tiranno.
Freja aveva vantato di aver imparato da suo fratello l’arte di mettere gli uni contro gli altri e allo scopo non aveva esitato a sacrificare i suoi compaesani danesi. Il genitore di Iside era stato un capo senza ambizioni e la madre dedita solo alle arti magiche. Senza di loro non avrebbe usato bene le possibilità in sua mano. Freja intuì i dubbi della regina e riprese.
«Sei stata a Firenze e hai letto Il Principe. Ripassalo e impara, Fatima, e noi ti aiuteremo a conquistare l’Egitto, ma è tuo compito mantenerlo. Con l’astuzia di una volpe e la forza di un leone. Come scriveva Machiavelli.»
Gabriele sapeva che Freja, prima di diventare suora e poi sacerdotessa dell’Asatro era appartenuta a una famiglia abituata a districarsi negli intrighi della politica. Anche lui aveva molto da imparare e per non esserle da meno, adulò: «Freja la Volpe del Deserto, Iside la Leonessa del Nilo. E io, Gabriele, il vostro angelo custode.»
CONTINUA…
di Paolo Ninzatti
Racconto breve ambientato nell’universo del romanzo “Le ali del serpente” dello stesso autore.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.