Auguste Creuzé De Lesser
Quando sentiamo vantare l’ospitalità dei tempi antichi, siamo felici di non ricordare che allora gli alberghi erano una cosa quasi sconosciuta. Bisognava bene che i viaggiatori alloggiassero da qualche parte, come avviene ancora oggi in Sicilia.
Se ci si ostina a lodare la generosità dei principotti i quali, morendo di noia nelle loro piccole corti, erano fin troppo felici di dare talvolta da mangiare e da dormire ad avventurieri, che ricambiavano con storie e racconti, cosa dovrò dire io dei cappuccini di Patti i quali, più poveri degli stessi nobili re della Grecia, ci ricevettero come meglio potevano, a un’ora indebita, prodigandoci ogni loro attenzione?
… Quei buoni padri ci offrirono tutto quello che possedevano. Disgraziatamente, non possedevano niente. Ma il nostro pranzo costituì un’altra occasione per convincerci di quanto i costumi di un paese differiscano da quelli di un altro.
Si era andati alla ricerca, credo fuori del convento, di vino che risultò tra i più vili di tutta la Sicilia. Uno dei cappuccini che s’era preso cura di noi volle sincerarsi che fosse buono e per far questo non trovò di meglio che portare alla bocca il fiasco.
Non avemmo il tempo di impedirglielo: ma quale fu il suo stupore quando gli dicemmo che quello non s’usava nel nostro paese. E tuttavia, qualcosa in più e meglio ci era ancora riservato.
Ci furono servite delle noci e, nel momento che ci accingevamo ad aprirle, ecco che uno dei famigli del convento ne prende una, la schiaccia fra i denti e ce la offre aperta.
Questa attenzione ci sembrò tanto bizzarra che volemmo profittare di un siffatto schiaccianoci e pregammo il nostro uomo di continuare, ciò ch’egli fece con enorme zelo.
Era uno spettacolo divertente vederlo impegnato allo spasimo nello schiacciare le noci a suo modo, mentre noi con pari impegno le gettavamo sotto la tavola mano a mano che ci venivano presentate aperte.
Egli poi era tanto preso, da non accorgersi per un solo istante dei nostri maneggi. È chiaro che in quel paese niente sembrava più naturale e al tempo stesso più cortese di un’attenzione del genere.
Esistono dovunque delle convenienze che dovrebbero essere legge per tutti, ma parecchie di esse sono sconosciute in Italia.
Per esempio, quella sera stessa, come mi fui coricato, e dopo aver tirato la tendina del letto, mi sentii d’improvviso prendere e baciare una mano da uno dei siciliani al nostro servizio. I padroni che ammettano simili omaggi sono da biasimare quasi quanto i domestici che li compiono.
Né posso impedirmi di confessare che, nell’entrare nella stanza dove ci saremmo coricati, sorprendemmo tre confratelli che s’erano impadroniti di una delle brocche col vino e la vuotavano completamente.
Si mostrarono alquanto vergognosi nello scorgerci, e uscirono.
Ma le conseguenze del loro gesto restarono e si resero per noi insopportabili fino all’indomani mattina, quando per godere finalmente di un poco d’aria pura facemmo collocare il tavolo della colazione all’aria aperta.
Ci sedemmo, dopo aver letto sui muri dei corridoi del convento alcuni versi nei quali si affermava che l’Ordine dei frati minori ha dato sette papi, settanta cardinali, più di quaranta santi e – ciò che è ben più strano – un buon numero di re e regine.
Abbandonammo quel tugurio, non prima di esserci sdebitati verso il convento di ogni disturbo e spesa che avessimo potuto dargli, e dopo alcune ore di marcia, durante la quale fummo ancor meno contenti della Sicilia che alla vigilia, arrivammo a Santo Stefano, un villaggio nel quale venimmo alloggiati un po’ meglio che presso i cappuccini: questa volta, infatti, fummo messi in un granaio.
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