Alexandre Dumas
L’indomani, mentre la vettura s’era fermata un momento a Civita Castellana per far riposare il nostro equipaggio, ed io approfittavo di quel momento per girare nella città, due carabinieri mi si accostarono in strada mentre tentavo di decifrare una cattiva iscrizione, redatta in cattivo latino, ai piedi di una cattiva statua.
Quei signori m’invitarono a recarmi all’ufficio di polizia, dove il nostro oste, schiavo delle formalità, aveva già mandato il mio passaporto; mi ci recai abbastanza tranquillamente, nonostante ciò che m’era accaduto a Napoli, e quantunque in Italia siffatti inviti racchiudano sempre qualcosa di tenebroso e di sinistro…
Trovai, nell’ufficio dove mi condussero, un signore che mi ricevette seduto, col cappello in testa e la fronte aggrottata; prima che m’avesse rivolto una sola parola, avevo preso una sedia, m’ero ficcato il berretto fino alle orecchie, e avevo regolato il mio viso all’unisono col suo.
In Italia specialmente non bisogna avere per gli altri i riguardi che non hanno per voi.
Rimase un momento senza parlare, io mi tacqui; infine, da un mucchio di carte, prese un fascicolo intestato al mio nome e volgendosi a me disse: “Siete il signor Alessandro Dumas?” “Sì.” “Autore drammatico?” “Sì.” “E vi recate a Venezia?” “Sì.” “Ebbene, signore, ho l’ordine di farvi condurre fuori degli stati pontifici nel più breve termine possibile.”
… Un quarto d’ora dopo correvo sulla strada di Perugia, io sistemato comodamente nell’interno della vettura, i due carabinieri sul sedile esterno.
L’indomani avevo stabilito, con l’aiuto di uno sportellino comunicante dall’interno all’esterno e di alcune bottiglie di Orvieto uscite piene e rientrate vuote, così buoni rapporti con i miei carabinieri, che essi stessi mi proposero di effettuare una fermata nella patria del Perugino.
Accettai, tanto ero certo, per l’esperienza fattane al mio primo passaggio, di ritrovarvi uno dei primi alberghi d’Italia.
Quindi diedi ordine al vetturino di condurci all’albergo della Posta.
Mi aspettavo che alla vista del mio seguito le buone disposizioni dell’oste si cangiassero; ma invece egli venne a me con un passo più svelto e un viso più grazioso ancora della prima volta;
il fatto è che in Italia sono soprattutto le idee che si riaccompagnano al confine, e la considerazione per un forestiero cresce in ragione del numero dei gendarmi da cui è scortato.
La vinsi dunque su un inglese che aveva avuto l’imprudenza di arrivare solo soletto, e la migliore camera e il miglior desinare dell’albergo furono per me. E i carabinieri, che erano veramente bravi ragazzi, li raccomandai alla cucina.
Uscendo dalle sedute, i membri più radicali e violenti andavano cordialmente a pranzo coi loro avversari al ristorante Carignano, situato di fronte alla Camera. Davanti ai vini di Asti e di Barolo, si dimenticavano, di comune accordo, le più gravi divergenze politiche.
Questa cordialità naturale, che permetteva che si mettessero da parte, per un momento, i più violenti odii parlamentari, è un carattere fondamentale dei costumi italiani.
Si immaginerebbe di poter vedere a Parigi, alla fine di un tempestosi dibattito il Corpo Legislativo, Jules Favre e Granier de Cassagnac avviarsi a braccetto verso il caffè Durand per cenarvi assieme?
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